Coaching: Il team vincente prende il certificato

ECONOMY – 31 maggio 2006

Coaching: Il team vincente prende il certificato

Anche nella vita professionale per fare goal non basta il talento, ma serve il coach giusto.

L’allenatore che entra in azienda non ha però nulla a che vedere con i suoi omologhi sportivi, anche se ne condivide il metodo; il coach infatti è un pò formatore, un pò motivatore, un pò psicologo oppure, per dirla come Flaminia Fazi, presidente e fondatrice di un coach e vicepresidente della Federazione italiana Coaching “un catalizzatore di energie, di risorse e di nuove opportunità”.

Attenzione però: niente guru, o convention all’americana con tanto di camminata sui carboni ardenti o corso di sopravvivenza in stile reparto d’élite dei marines.

ETICA E DIPLOMA. I veri coach sono certificati, con tanto di diploma dell’International Coaching Federation e hanno un codice etico rigorosissimo.

“Molte volte”, spiega Marco Valerio Ricci, presidente dell’Accademia dei Coach, “quando arrivano da noi manager o dipendenti, spesso si aspettano il guru di turno oppure vedono il coaching come l’ultima spiaggia; ovvero una prova da superare per poter restare in azienda. Noi gli spieghiamo che non è assolutamente così, anzi, tutto l’opposto”.

Già, perché il coaching serve a valorizzare le risorse umane e non a penalizzarle.

“Si accelera un processo di apprendimento, si costruisce un team “spiega Fazi. “Si aiutano le persone a gestire meglio la loro comunicazione e superare i contrasti interpersonali, a superare i loro limiti, imparando a conoscersi meglio. E non vale solo per i top manager, ma per tutta la struttura aziendale”.

In sostanza il coach è come un allenatore mentale, che aiuta il manager o l’executive a dare il meglio di sé, a focalizzare di nuovi i suoi obiettivi, a riprendere conoscenza delle sue potenzialità.

“Spesso nelle aziende c’è difficoltà di comunicazione interpersonale, scarsa propensione al cambiamento e spesso le organizzazioni complesse non riescono a trasferire i loro valori all’interno: il coaching serve anche a questo”, aggiunge Ricci.

POCA CULTURRA PER LE PMI. Una lezione che le grandi aziende hanno capito, ma dalla quale le piccole e medie imprese sono ancora escluse.

“E non è solo per una questione di costi” dice Fazi “perché i benefici superano di gran lunga la spesa. Dopotutto, si tratta dello stesso costo di una vacanza al mare, ma le ricadute possono cambiare veramente la vita dell’imprenditore o del manager.

Il problema in questo caso è spessa la cultura aziendale delle Pmi.

“Nelle grandi aziende c’è molta più apertura, perché hanno un maggior contatto con l’estero” spiega Ricci “ma il mondo delle piccole e medie imprese avrebbe grandissimo giovamento dal coaching. E’ vero che la spesa è alta, ma i ritorni aziendali lo sono ancora di più”.

Per questo chi lo prova, lo riprova.

“Sono molti i manager o gli executive che tornando da soli, senza il supporto economico dell’azienda, alla fine del coaching, per continuare” dice ancora Fazi. “Anche molti imprenditori” conferma Ricci “si rivolgono a noi per delle sessioni di coaching direttamente”.

Perché il coaching non è solo un metodo che serve a migliorare la propria professionalità e il rapporto in azienda, ma si riflette sulla vita della persona.

“Mi sono capitati top manager o executive” conclude Fazi “che mi chiamavano perché volevano cambiare vita, mettersi in proprio diventando consulenti o cominciare a fare politica. Il coaching non è solo uno strumento per chi vive la realtà aziendale, ma è utile per tutti”.